Il topos della giustizia negata o deviata negli scenari siciliani di Nino Martoglio e Ugo Fleres
É noto come la letteratura siciliana postunitaria esprima una relazione conflittuale con le istituzioni statali che appaiono sovraimposte e distanti dalla realtà locale; ne deriva una risentita diffidenza verso apparati giudiziari spesso inadatti a gestire la diversità dell’universo isolano, con sue...
Gespeichert in:
Veröffentlicht in: | Forum italicum 2019-08, Vol.53 (2), p.425-442 |
---|---|
1. Verfasser: | |
Format: | Artikel |
Sprache: | eng |
Schlagworte: | |
Online-Zugang: | Volltext |
Tags: |
Tag hinzufügen
Keine Tags, Fügen Sie den ersten Tag hinzu!
|
Zusammenfassung: | É noto come la letteratura siciliana postunitaria esprima una relazione conflittuale con le istituzioni statali che appaiono sovraimposte e distanti dalla realtà locale; ne deriva una risentita diffidenza verso apparati giudiziari spesso inadatti a gestire la diversità dell’universo isolano, con sue proprie regole e codici comportamentali. L'applicazione di norme giuridiche continentali individua negativamente tale diversitá, in accordo ad un processo di orientalizzazione della realtá siciliana che segue alla fase unitaria.
La tematica, centrale in Verga, si trasforma con le opere di Pirandello in antitesi fra la Legge e i suoi apparati, intesi come forme statiche e rigide, e la fluidità e mutevolezza dell’esistenza, che il diritto pretende di irreggimentare; la coscienza individuale non è invece mai riconducibile ad una norma uguale per tutti. Un motivo sviluppato ampiamente dalla novella pirandelliana Il dovere del medico del 1902, ma già trattato nel racconto di Ugo Fleres (1857–1939) Peccato veniale del 1891, che il presente articolo si propone di analizzare.
Ancora legato ad un “discorso di classe”, ma al tempo stesso in qualche modo antesignano del relativismo pirandelliano, appare il lavoro giovanile di Nino Martoglio (1870–1921), I civitoti in pretura del 1893. Il dibattito processuale, bloccato da fraintendimenti linguistici fra parlanti in dialetto e in lingua, individua come difficoltà primaria nell’esercizio della legge l’incomunicabilità a livello di codice comunicativo fra i popolani catanesi e i magistrati che provengono da ‘nfora regnu. Si consideri inoltre che il pubblico del processo, attivo con commenti e risa, “si supponi ‘ntra la platea”; la rottura dell’illusione scenica rende i fruitori dello spettacolo parte attiva di un procedimento giudiziario comico, quindi per esigenze di copione dileggiato e sconfessato.
Si intende infine prendere in analisi il romanzo fleresiano “Giustizia” (1909), ambientato nel paese siciliano di Riva: il titolo risulta antifrastico, considerando che l’opera racconta tortuose vicende di errori giudiziari intorno all’omicidio di una baronessa, per il quale magistrati inetti trovano diversi capri espiatori; il vero colpevole rivela invece il suo delitto solo in confessione, facendo collidere giustizia umana e divina. Il processo continuamente riformulato non si vede mai in scena, ma il romanzo è punteggiato da dibattiti informali di ambito giuridico, agiti in luoghi atipici, quali la farmacia o i salotti del p |
---|---|
ISSN: | 0014-5858 2168-989X |
DOI: | 10.1177/0014585819831609 |